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Illegittimità della generale applicazione della sanzione maggiorata di infedele dichiarazione dei redditi ed Iva in caso di dichiarazione fraudolenta per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

DIRITTO TRIBUTARIO – Sanzioni amministrative – Illegittimità della generale applicazione della sanzione maggiorata di infedele dichiarazione dei redditi ed Iva in caso di dichiarazione fraudolenta per utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Brevi note a monte, anzi a valle, delle sanzioni pecuniarie fiscali sproporzionate.

a) La questione tecnica che mi consente di approntare qualche considerazione sul sistema sanzionatorio tributario ritenuto non a torto eccessivamente punitivo e poco efficace, la assumo dai casi reali che riguardano l’irrogazione della sanzioni in sede di avviso di accertamento, generalmente preceduti da processi verbali di constatazione redatti dalla Guardia di Finanza o dall’Agenzia delle Entrate stessa, in relazione e conseguenza alle constatate plurime riprese fiscali ai fini IRES, IRAP ed IVA che comportano la violazione degli obblighi di dichiarazione delle imposte sui redditi e dell’imposta di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs n. 471/1997 e la violazione degli obblighi di dichiarazione I.V.A. di cui all’art. 5, comma 4, dello stesso decreto.

Nell’ipotesi in cui anche un solo rilievo formulato nel pvc e replicato nell’atto impositivo ha ad oggetto l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti (c.d. f.o.i.) è pressochè prassi comune dell’Ufficio contestare al contribuente indistintamente sulle imposte accertate su tutti i rilievi (ossia anche quelle non riconducibili all’utilizzo di f.o.i.) la violazione degli obblighi di dichiarazione delle imposte sui redditi e la violazione degli obblighi di dichiarazione I.V.A., applicando ad esse la maggiorazione della sanzione (della metà) prevista rispettivamente dal comma 3 dell’art. 1 (per l’IRES e l’IRAP) e dal comma 4-bis dell’art. 5 (per l’IVA) del D. Lgs n. 471/97 a fronte delle fattispecie in cui «la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente», elevando così la sanzione minima (dal 90%) al 135% e la sanzione massima (dal 180%) al 270% .

Tale prassi determina, ovviamente, un incremento generalizzato non indifferente dell’entità complessiva delle sanzioni.

La Sezione n. 01 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Bergamo, accogliendo la specifica censura del ricorrente avverso l’applicazione generalizzata della sanzione adottata dall’Ufficio nell’atto impositivo notificatogli, nella sentenzan. 244/2022 depositata il 16.05.2022 ha stabilito che«quanto alla sanzione di cui all’art. 1, comma 3 del D. Lgs. n. 471/1997, la Commissione per assumere la propria decisione ha esaminato la norma per come è stata presentata dalla stessa Agenzia delle Entrate nelle proprie deduzioni. Il comma 3 citato prevede che “La sanzione di cui al comma precedente è aumentata della metà quando la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente”. L’Agenzia interpreta tale disposizione nel senso che la maggiorazione del 50% vada applicata a tutte le sanzioni calcolate secondo il precedente comma 2 dello stesso articolo. La Commissione ritiene, invece, che tale norma preveda la maggiorazione solo nei casi espressamente indicati nel comma 3, ossia nei casi di “documentazione falsa o per operazioni inesistenti”. Ciò premesso, nel caso in esame l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti è ravvisabile solo nel rilievo n. 3 connesso a costi oggettivamente inesistenti….».

Anche più recentemente la stessa Corte, con sentenza n. 274/2023 depositata il 20.09.2023, ha confermato la precedente posizione sulla questione, riconoscendo che «sotto il profilo sanzionatorio deve ritenersi fondato il motivo di ricorso col quale si eccepiva l’illegittima applicazione della maggiorazione della sanzione (della metà), prevista rispettivamente dal comma 3 dell’art. 1 (per l’IRES e l’IRAP) e dal comma 4-bis dell’art. 5 (per l’IVA) del D.Lgs n. 471/97 nei casi in cui “la violazione è realizzata mediante l’utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti”, anche agli altri rilievi senza utilizzazione di f.o.i., in considerazione dell’ autonomia dei rilievi e dell’ irrilevanza del peso economico degli stessi».

b) Il tema delle sanzioni irrogate negli atti impositivi non è sempre affrontato dai difensori in sede di contenzioso tributario. Vuoi perché con l’impugnazione dell’atto impositivo ci si aspetta l’annullamento della contestazione/rilievo, che determina automaticamente la capitolazione della sottostante sanzione, vuoi perché le procedure che determinano gli importi delle sanzioni irrogate portate negli specifici prospetti dell’avviso di accertamento, scandite dai criteri stabiliti nei decreti n. 471/97 e 472/97, non sempre sono di immediata ed agevole comprensione.

Tuttavia, l’entità della sanzione irrogata dall’Ufficio nell’atto impositivo (valutandola dalla sua genesi) non è da sottovalutare in quanto ha plurime implicazioni sul contribuente come, ad esempio, orientare l’esito e la convenienza di una procedura di contraddittorio in sede di accertamento con adesione, oppure rendere finanziariamente sostenibile per il contribuente la definizione dell’atto impositivo notificatogli pagando le imposte accertate e, in misura ridotta, le sanzioni contestategli.

c) Dopodichè, è oramai questione nota, dibattuta e complessa quella dell’abnormità delle sanzioni irrogate dall’amministrazione finanziaria negli atti impositivi.

Ferme restando le problematiche che comportano le procedure di irrogazione delle sanzioni come disciplinate dai citati decreti risalenti all’anno 1997 (che di fatto all’epoca “rivoluzionarono” la materia sanzionatoria tributaria), e non è questa la sede per rassegnarne le criticità, non è più raro, però, oggi prendere cognizione di avvisi di accertamento che, seppur aventi anche ad oggetto violazioni di natura grave, tuttavia per effetto di plurime e ripetute maggiorazioni della sanzioni applicate dall’Ufficio mediante richiami (a volte arbitrari o non motivati) ai criteri indicati dagli articoli 7 e 12 del D.Lgs n. 472/1997, combinati con le maggiorazioni previste per le singole violazioni ed imposte dal D.Lgs. n 471/1997, determinano l’irrogazione di sanzioni notevolmente superiori al doppio dell’entità delle imposte accertate ed asseritamente evase.

In alcuni casi è stato osservato che la sanzione irrogata dall’Ufficio al contribuente nell’atto impositivo per effetto di affastellate maggiorazioni (anche mediante richiami a reati fiscali per i quali il contribuente però godeva di sentenza definitiva di assoluzione) hanno comportato un incremento dell’entità della sanzione amministrativa irrogata addirittura nella misura di oltre il 370% del tributo accertato.

Indubbiamente non è in discussione lo scontato principio che a violazioni più gravi debbano conseguire sanzioni più gravi. Tuttavia irrogare sanzioni amministrative di entità consistentemente superiori alle imposte preventivamente accertate, specialmente e soprattutto nei confronti di contribuenti persone fisiche, professionisti ed imprese medie o piccole, anche se apparentemente assistite da una diffusa approvazione sociale in nome di una “lotta all’evasione fiscale”, sempre più spesso abusata da soggetti che di fatto ignorano le procedure, le tecniche componenti di questa “lotta” e l’efficacia reale di esse sul gettito erariale, di certo invece non comporterà lo sperato beneficio di incrementare le casse dell’Erario e dunque giovare alla collettività.

Irrogare sanzioni pecuniarie esorbitanti e sproporzionate rispetto all’imposta (asseritamente) evasa, infatti, prima di tutto non ha alcun senso.

Una sanzione sproporzionata non rispetta i canoni di ragionevolezza e proporzione che si impongono sull’Ufficio nell’attività di determinazione e di commisurazione delle sanzioni secondo proprio quanto prevede l’art. 7 del D. Lgs n. 472/1997, ossia a canoni che ragguagliano le pene in base all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni: se non altro la sanzione sproporzionata non risponde né ai criteri generali punitivi previsti dall’art. 27 della nostra carta costituzionale (e va sempre di moda oggi citare la Costituzione!), né a quelli di derivazione comunitaria (si segnala, per l’appunto, la Cass. trib. n. 15507/2020, che rammenta la derivazione comunitaria del principio di proporzionalità delle sanzioni esplicato in numerose cause dalla Corte di Giustizia, tra cui C-272/13 del 17.7.2014 (Equoland) ed Ecotrade C-95/07).

Irrogare una sanzione sproporzionata non ha alcuna ragione o finalità punitiva, e tantomeno dissuasiva, anche perché:

– il più delle volte il contribuente o l’impresa non sarà in grado di pagare, nemmeno frazionatamente, sanzioni elevate e tantomeno dispone di patrimonio aggredibile e capiente, per cui l’Erario, di fatto, non (ri)otterrà alcuna risorsa, e l’impresa sarà comunque destinata al declino;

– nella migliore delle ipotesi, poi, il contribuente rimarrà sbigottito o si sentirà avvilito o sgomento dell’entità della sanzione pecuniaria irrogatagli (il che potrebbe essere irrilevante ragionando in una ottica punitiva in cui ogni cittadino/contribuente deve essere consapevole delle conseguenza che derivano dalla sua infedeltà fiscale), ma non è escluso nemmeno che una sanzione “percepita” spropositata e finanziariamente inaccessibile possa incattivire il contribuente nei confronti della Pubblica Amministrazione ed indurlo così a sfogare il proprio risentimento anche con comportamenti poco virtuosi: e ciò, di certo, non giova e tantomeno rispecchia quell’auspicato rapporto di collaborazione e buona fede tra contribuente ed amministrazione finanziaria richiamato nell’art.10 dello Statuto del contribuente.

Le problematiche sottostanti l’entità delle sanzioni fiscali, quindi, sono plurime, complesse e delicate, e come detto ad una accentuata severità punitiva dello Stato non sempre (o quai mai) corrisponde un effettivo beneficio per il gettito erariale. E le quote di imposte e sanzioni effettivamente riscosse dallo Stato derivanti dall’attività di contrasto all’evasione fiscale rispetto quelle, di gran lunga superiori, constatate, contestate ed accertate dall’Agenzia delle Entrate dimostra inesorabilmente e senza ipocrisie la fondatezza di questa considerazione.

Vogliamo però concludere, per ora, la presente trattazione con una nota di ottimismo generata dalla consapevolezza del tentativo del legislatore di risolvere, o quantomeno di affrontare con serietà, la questione delle sanzioni tributarie migliorandone la proporzionalità, attenuando il loro carico, e riconducendole ai livelli esistenti in altri Stati europei, come si evince(rebbe) dal contenuto dell’art. 20, comma 1, lett. c) n. 1, della legge n. 111/2023 delega di riforma fiscale.

Antonio Ferrucci – avvocato del Foro di Bergamo

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